Il lavoro dei poeti: Alessandra Flores D’Arcais, Paolo Polvani, Ida Travi, Claudia Zironi.
Vi proponiamo il punto di vista sul tema del mese di diversi autori, con una sola poesia a testa, a esemplificazione e dimostrazione di come la parola poetica possa fornire una molteplicità di spartiti aderenti a un medesimo assunto:
di Alessandra Flores D’Arcais
Questa poesia nasce come riflessione sui mutamenti del mondo del lavoro negli ultimi anni, riflessioni stimolate dalla recente lettura del saggio: AA. VV., Come la vita si mette al lavoro. Forme di dominio nella società neoliberale, a cura di Beatrice Bonato, Mimesis, 2011. AFDA
HOMO OECONOMICUS
L’homo oeconomicus
vive nelle città per progetti
da servo emancipato
a coltivare idee
pagate a cottimo
e nel tempio
sacrifica
il tempo della vita
e qualità e talenti
al dio neoliberale
per trenta denari
i sacerdoti del lavoro
lo hanno ammaestrato
in un recinto mobile e precario
all’efficienza nomade
alla creatività flessibile
e lui
alla fine crede davvero
che non esista altro modo
per sentirsi umano.
*
di Paolo Polvani
Equilibri
La cisterna sprizzava bagliori d’argento.
L’operaio in tuta arancione ne accarezzava la pelle
con la leggerezza di un equilibrista.
Ai suoi piedi l’orizzonte
manifestava sottomissione e aderenza.
Il cielo era un manifesto
sulle profondità di ottobre.
L’operaio frugava, rovistava
tra gli attrezzi.
Cercava l’obbedienza di una vite, la cieca
fedeltà di un bullone.
Confrontava certi spessori, borbottava.
L’arancio della tuta si spostava
lungo il perimetro della cisterna.
Ottobre era un cielo di invincibile bellezza.
L’operaio sulla piattaforma rimestava
e riponeva, malediceva, forse
era felice.
*
di Ida Travi
da “Dora Pal, la terra” Moretti&Vitali Ed., 2017
(come si chiama il nostro lavoro)
Come si chiama il nostro lavoro, Olin
il nostro lavoro in terra, come si chiama?
Il mio, il tuo, il nostro lavoro…
se devo spiegarlo a qualcuno
il nostro lavoro in terra come si chiama?
Centomila formiche rosse, e non una si volta, non una…
È un lavoro, questo?
C’è una benda in fondo al tuo occhio, Olin
c’è una piccola benda rossa…
*
di Claudia Zironi
da “Cronache dal mondo di sopra” inediti sul mondo del lavoro
Il tempo scorre più lento nella dovizia
dei racconti delle altre città delle vacanze
ricordate. Piazze lente, una meteorologia
cristallizzata, la relatività dell’orologio
della torre nell’attesa del rintocco, lente
le nuvole di vento: mi dicevi che forse
si potrebbe lavorare, vivere lontano
come rondini scampate dalla guerra. Avere
una diversa percezione della colpa, lasciare
indietro tutti i sassi nei disegni della pioggia
tutte le soglie e i tetti disattesi, ogni lento
mutamento del racconto.
In ultimo venne il giorno
dei ricordi condivisi,
resoconti attivi
del lavoro che fummo, della nostra
ipocrisia. Della classe andata
e di tutto il postsessantotto
che a mala pena comprendemmo.
Si erano fatti attivi i varchi
e nelle segreterie spente
le luci degli addobbi rilucevano come inservienti.
Fu presto fatto il resoconto.
A destra gli uomini, le donne al centro.
La perenne quota rosa.
I bimbi in fila per le audizioni.
L’ operaio in somma per la risoluzione.
Grazie, Versante Ripido
il lavoro e la valutazione del lavoro con corrispettivo in soldoni e favori
i campi piagati dal mercato sfruttati al pari nostro come schiavi
fino all’osso fino all’aridità in cui viviamo anche noi
tutti nessuno escluso
nemmeno quelli che zappano un foglio con la penna
tenendosi ben stretta la pena di vivere
dentro una stanza due per tre
un metro in più sarebbe la libertà
da questa inciviltà che ci siamo costruiti
uomo dopo uomo uno nascosto dall’altro
arando i corpi di quelli che stavano sotto
per guerre omicidi suicidi aborti e morti sul campo
perché la vita non è mai abbastanza tenera
ha un guscio duro e dentro quello il fuoco
siamo noi povere scimmiette da circo
che crediamo d’essere fiori di serra
e abbiamo bisogno di sostenerci con pensieri fasulli
l’orrore e l’orrido stanno sullo stesso passo
e la morte è un abito per stare da una parte o dall’altra
con la stessa innocenza
sotto terra non vale nessuna differenza
f.f.