L’infinito matematico, poesia di Giuseppe Martella.
Giuseppe Martella ha insegnato letterature anglofone nelle Università di Messina, Bologna e Urbino. Si è interessato in particolare del modernismo inglese, di ermeneutica letteraria e filosofica, dei rapporti tra scienza e letteratura, e fra letteratura e nuovi media. Di recente, avendo lasciato l’insegnamento, si occupa anche di poesia italiana contemporanea.
Fra le sue pubblicazioni: Ulisse: parallelo biblico e modernità, Bologna, Clueb, 1997; Ciberermeneutica: fra parole e numeri, Napoli, Liguori, 2013; Tecnoscienza e cibercultura, ARACNE, Roma, 2014; Martella, E. Ilardi, Hi-story. The rewriting of History in Contemporary Fiction, Napoli, Liguori, 2009.
L’infinito matematico
L’infinito ci attende e il senza forma
l’assenza di figura l’infinito sottende
ogni intervallo matematico
l’infinito ci fa un po’ paura.
Per i greci era un difetto di natura
nella forma bella del numero
nella perfezione dei rapporti
fra due grandezze.
Dopo la scoperta dell’incommensurabile, ad esempio
del rapporto fra il raggio e la circonferenza del cerchio,
Pitagora ne fu sconvolto tanto che voleva tenere segreto
quel numero mostruoso pi greco dalle infinite cifre
dopo la virgola, quella progressione senza un punto d’arrivo
che metteva in crisi il principio di esattezza del calcolo e lo affidava all’approssimazione.
Ma non ci fu verso di fermarlo questo demone perverso:
l’infinito come il diavolo si travestiva in 1000 diverse forme,
appariva nei luoghi più inattesi, spostava l’asticella della sfida,
tentava la fantasia dei matematici migliori.
Infinito e infinitesimo sono gli a priori
per la matematica e la scienza che ci ha resi signori dell’universo.
Si guardano come inversi speculari, nella tabula rasa della mente
sono i penultimi fra il tutto e il niente, l’ostinazione gravitazionale.
Stringhe corpuscoli quanti di luce, derivate integrali matrici, salti energetici,
curvature dello spazio-tempo non si possono neanche immaginare
senza la terribile simmetria elementare tra infinitesimi e infiniti.
Si guardano nello specchio della mente
questi due ordini ai limiti della ragione
simboli che hanno mero valore di posizione tra 1 e 0
fra l’essere e il niente.
E in mezzo, tutti gli alfabeti del mondo
tutto il caleidoscopio degli eventi
il gioco inconcepibile dei quanti, la dispersione entropica dei mondi,
la stupenda deriva dei corpi, umani e celesti,
le galassie in espansione, la varietà delle stelle:
le nane bianche, le rosse giganti vicine all’esplosione,
l’attrazione crescente dei buchi neri che trattiene la luce
e ci nasconde tre quarti di materia dell’universo.
E’ il questo e non c’è altro verso che la combinatoria universale
il cuore impazzito irregolare di quel numero primo che compare
a suo talento e a nostra insaputa, l’aritmia divina,
il dio bambino che gioca a dadi e a nascondino
su una distesa vuota e incolore, senza forma,
il residuo battito del cuore dell’universo, questo basso continuo
che arriva come un pellegrino che si è perso
ai confini dell’infinito e che attende da noi l’ultimo invito.
*

Giuseppe Martella, hai davvero fatto centro con la tua percezione che “tutti gli alfabeti del mondo” sono le essenze centrali, più vertiginosamente aperte tra finito e infinito.
Grazie !